"Si ricorda ai passeggeri di non lasciare incustoditi i propri bagagli in aeroporto per motivi di sicurezza..."
La voce metallica del megafono si disperde nell'aria e si mescola al ticchettio dei passi della folla sul pavimento di marmo. Questa mattina all'aeroporto di Zaventem la luce timida di un sole assonnato filtra leggera dalle grosse vetrate ai lati del corridoio. Sulle mattonelle, l'albore dei raggi crea giochi di colore, mischiandosi alla luce artificiale delle grosse insegne a neon. Di tanto in tanto, sagome scure nascondono come nuvole, lo scintillio. Sono le ombre di viaggiatori in partenza. Non può essere altrimenti, chi marcia sul pavimento dell'aeroporto di Zaventem vuol solo viaggiare.
L'orologio segna le 7.30 del mattino, presto al Terminal A la American Airlines e la Brussels Airlines annunceranno i loro voli. In un angolo della hall partenze una donna è seduta su una sedia di ferro un po' scomoda. Ha il viso assonnato e sembra faccia fatica a scartare la confezione di uno snack. Una battaglia da cui però ne esce vincitrice, grazie a quello strano portachiavi che sua mamma le ha regalato per il compleanno. Porge la merendina alla bambina seduta accanto, una graziosa bimba con le treccine bionde e le guance macchiate di lentiggini che occupa appena metà del sedile e agita le gambine guardandosi i piedi. "Perchè dobbiamo aspettare? " chiede con gli occhietti vispi, decisamente più sveglia della madre, prima di dare un morso ad una barretta che non le placherà la fame di partenza. "Io voglio vedere l'aereo!". La donna, accarezzandole dolcemente il capo, le spiega il motivo dell'attesa. "Dobbiamo aspettare che la signora che annuncia i voli ci dica che possiamo metterci in fila. E dopo possiamo salire. Ora mangia la cioccolata e offrine un po' all'orsetto".
Un uomo alza lo sguardo dal giornale che sta sfogliando e le osserva. Sorride e ripensa a suo figlio, che non rivede da qualche mese per via del lavoro, e al regalo che ha preso per lui da Bruxelles, quel videogame che tanto desidera. Abbassa gli occhi sul titolo in prima pagina "Salah Abdeslam ferito e arrestato a Bruxelles" e riprende la lettura da dove l'aveva interrotta.
In fondo alla sala partenze Stef controlla che il metal detector non suoni. Chiede con fare gentile le carte d'imbarco e il documento e ricorda di lasciare nella cassetta gli oggetti metallici. Pensa a Larissa, oggi non è di turno. La giornata è un po' più triste del solito. Le manca il suo sorriso e attende con ansia la fine della giornata lavorativa per poterla riabbracciare, una volta tornato a casa.
Due amiche in fila al gate attendono di imbarcarsi. Ridono e scattano qualche selfie, tormentandosi a vicenda su cosa scrivere prima di postare l'immagine su facebook. "Pronte! che dici, scriviamo una cosa semplice". "No, è troppo banale, dai. Tu sei brava con le parole, impegnati un po' di più. pensa.."
Uno steward supera le ragazze a grandi falcate. Il volo per Roma decollerà a breve.
L'orologio di Hussein, l'uomo dalla pelle scura e con dalla barba folta, segna le 7.45. Le vetrate tremano e dall'alto una pioggia di schegge vitree colpisce la folla che, come impazzita, corre verso l'uscita. Sembra muoversi tutto a rallentatore. Il rumore dell'esplosione è ovattato. La gente che sgomita e spinge urlando sembra la protagonista di un fotogramma in movimento. Hussein ha la voce graffiata quando realizza cosa sta accadendo nella hall partenze. Sa solo urlare "questo non è l'Islam!".
Stef è chiuso in un bagno di servizio. Le mani tremano. Ha ben stampato nella mente tutto quel sangue. Il cuore impazzito batte contro le costole, come se volesse fuggire insieme agli altri, ancora vivi. Stef però lo ignora. Ripensa a quel fucile buttato per terra e al rumore del pianto rotto che si mischia con il silenzio assordante della toilette. Stef ha paura di non rivedere più Larissa.
Marie era poco distante dalla bambina con le trecce bionde e leggeva distrattamente un libro quando le urla in arabo l'hanno investita. L'uomo con il giornale stretto tra le mani era una statua di sale e guardava incredulo l'orrore.
Nell'aeroporto di Zaventem si voleva solo viaggiare. Perché a Bruxelles l'aeroporto è come tanti altri, è un luogo d'incontro e d'apertura, un luogo di tolleranza, una stretta di mano con il mondo. Un ponte tra culture. E a Zaventem i viaggiatori volevano solo presentarsi e aprirsi alla vita. Ma i turisti in partenza sono costretti ad abbandonare i bagagli e i trentadue corpi senza vita su quel marmo che non brilla più.
Corrono all'esterno in cerca di riparo. Urlano, imprecano, piangono. Qualcuno ha addirittura pensato "prendo la metro e mi chiudo in albergo".
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