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Immagine del redattoreLaura Spadoni

Rintocchi di orologio

Aggiornamento: 11 apr 2018


La sveglia tuona, puntuale alle sei e trenta, come ogni mattina. Uno di quegli allarmi fastidiosi, incessanti, che costringono a tirare fuori il braccio da sotto il piumone e pigiare il tasto off quando si è ancora intontiti dal traumatico risveglio.


Amelia fatica a scendere dal letto. Passare le ventiquattro ore tra le coperte piuttosto che a lavoro, sembra quasi essere il nirvana, il fine ultimo del suo esistere. La gente in coda, le lamentele, il brouhaha, le procurano quella forte emicrania, pulsazioni martellanti alla nuca che la mettono al tappeto peggio di una sbronza, e, una volta a casa, finisce quasi sempre per crollare dopo aver ingerito l’ennesima aspirina. Non riesce a ritagliare del tempo per sé e dedicarsi a ciò che davvero le piace fare.


Il pianoforte a coda laccato nero occupa gran parte del salone. Il suo amore per la musica l’ha indotta a comperare uno strumento il cui destino sarebbe stato simile alle molte altre passioni che Amelia coltivava e poi lasciava appassire come fiori nel freddo alito autunnale. Deve ancora memorizzare quell’arpeggio arzigogolato, un terzetto di biscrome che proprio non le riesce, ma che, in maniera del tutto inconscia, da accordo scarabocchiato su un pentagramma ingiallito dallo scorrere del tempo, si tramuta in un movimento delicato delle dita che tamburellano sul bancone di legno e ripropongono la melodia in modo sordo, soffocato.


Il desiderio di voler essere altrove e la grande impazienza, forse, sono la condizione perfetta affinché Amelia possa esercitarsi. Infatti sono proprio i momenti di attesa, i peggiori della sua giornata, quelli adatti ad eseguire quel brano immaginario, lo stesso che le risuona nelle viscere quando magari, l’uomo alto in giacca e cravatta non riesce a recuperare la sua ricevuta o la vecchietta con il camice dal motivo floreale si accanisce contro di lei perché non le arriva la posta. Il cassetto del suo comodino, al lato destro del letto, custodisce un libro. Ancora non è riuscita a terminarlo. Sempre sullo stesso tavolino da notte in mogano, accanto alla sveglia infernale, una spia luminosa lampeggia dal dorso di un telefono cellulare con una segreteria che brulica di messaggi. “Ehy Amelia, allora che fine hai fatto? sabato pensavamo con le altre di provare quel nuovo locale in piazza. Dicono che è carino. Richiamami appena sei a casa”. O ancora “Ti ho scritto mille messaggi, e so che li hai letti, ricorda che con gli smartphone non puoi nasconderti. Dai su, ti farà bene uscire un po’ da casa. Elena ed io ci siamo per te, siamo o non siamo le tue migliori amiche?”.


Amiche, ma era davvero così? E’ passata un’eternità dall’ultima volta che ha accettato un loro invito. Da mesi non le accompagna a bere qualcosa fuori. Non esiste un motivo reale che l’ha allontanata dal mondo. In fondo a Elena e Vanessa voleva molto bene. Ma è come se lei avesse compreso la verità dell’uomo e questo le impedisse di aprirsi al prossimo. Conosceva la gente. La vedeva tutti i giorni in posta. Non fanno che correre, controllare agende e lasciarsi trasportare dai loro impegni. Sono tutti troppo immersi nella propria vita per poter conoscere la vita altrui.


La condivisione per Amelia era pura utopia. I momenti passati con le sue amiche, li viveva da alienata. Apparentemente in compagnia, ma isolata dalla consapevolezza che nessuno mai avrebbe potuto comprendere il suo universo. Le sue amiche conoscono appena un angolo remoto della sua essenza. Come un iceberg, lascia che sia uno scorcio soltanto, la punta gelata della montagna di mistero, ad affiorare dagli abissi del suo animo fragile. Ma come anche la sua famiglia, il mondo intero crede sia solo la superficie visibile a contraddistinguerla. Finiscono tutti per sbattere, come navi disattente, contro l’amara sensazione di conoscerla davvero. “Stressata dal lavoro poverina, non riesce a godersi la vita” dice spesso Elena. Amelia però è ben altro. E così si chiede quanto, ancora, può ledere il sentimento di umanità che prova per le persone che le sono attorno. La compassione che muove ad illudere che in fondo possano davvero raggiungere quel che neppure ella stessa osa scoprire. Il suo vero io è un territorio che non è ancora stato violato.


Quella mattina, come tutte le altre, la sua giornata partì con un opprimente senso di frustrazione.


Fece colazione in fretta, una tazza di caffè latte e i suoi biscotti preferiti, al cacao. Aveva già raccolto i capelli nocciola in un’elegante chignon e sistemato il cartellino, agganciandolo con l’apposita pinza metallica al taschino sinistro della camicetta bianco perla. Il colore tenue della sua blusa, quella mattina, risaltava i grandi occhi castani. Aveva anche deciso di provare quel rossetto rosso acquistato mesi prima ma che non aveva mai avuto occasione di portare. Lo stese distrattamente sulle piccole labbra imbronciate. Si domandava quale forza la incoraggiasse a curare nel dettaglio il suo look a quell’ora del mattino. A chi mai sarebbe importato che la giovane donna allo sportello 5 aveva un rossetto Chanel che le donava perché, come le aveva detto la commessa “è in perfetta sintonia con la sua carnagione delicata”. Tutto quello che interessava alla gente era ritirare il proprio pacco. Nient’altro.


I vetri della finestra quel giorno erano bagnati da una pioggia fitta. Le luci fioche dei lampioni in strada creavano un’atmosfera sublime, simile ad un dipinto Seurat e la città, accarezzata dalle lacrime del cielo, se ne stava in silenzio quasi condividesse la malinconia insita nella tempesta. Regnava la quiete. Amelia prese il suo ombrello e varcò la soglia di casa. Non avrebbe mai sospettato che quell’umido mattino la sua vita sarebbe cambiata per sempre.

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