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  • Immagine del redattoreLaura Spadoni

La storia d'amore delle cascate Marmore


Attende, è silente e aspetta. Ama riflettersi sul finestrino delle macchine in movimento per disegnare sui volti dei passeggeri, ghirigori di luce e fantasia. Quando vede passare qualche auto, il parco delle Marmore saluta dall'alto con cenno aggraziato. Già in lontananza, palesa la sua vena gentile e ospitale da paesaggio adeguato per lasciarsi andare alla vita.


Sulla cima della Valle Valnerina, come una sirena che con il suo canto attrae e richiama, fa danzare la sua ugola sottile, cosparge nell'aria coriandoli di libertà e freschezza e crea attorno a sé un campo magnetico,un abbraccio di cui le auto, restie a staccarsi, non sono mai sazie.


I conducenti di tutte le età, attratti dal fascino giurassico del panorama, si destreggiano tra i tornanti e sfidano la pressione. Ignorano quel dito fantasma che, con dispetto sadico, preme sui timpani e infiamma le orecchie, pur di raggiungere quel luogo incantato. Noi con loro.


E' un colpo di fulmine imprevisto. Credo di essermene innamorata, e come per ogni amore sincero, non temo alcuno ostacolo. Neppure il cambio di pressione.

Sulla vetta mi attende un grande piazzale di cemento, contrassegnato da una grossa P bianca su sfondo blu, che obbliga gli autisti ad abbandonare la vettura.


Ad ogni ora sullo slargo visitatori diversi si sfidano a tetris, giocano ad incastrare e affiancare i loro mattoncini metallici dalle forme e dalle tinte più disparate. E a fine partita, con un colpo secco che rimbomba nel silenzio dell'ambiente incontaminato, chiudono le portiere, abbandonando nell'abitacolo per qualche ora i problemi e le frustrazioni.


Su quel piazzale mi son spogliata delle ansie e dei problemi della mia vita, e anche di qualche maglia di troppo, per dirigermi, più leggera, verso l'ingresso.


Alla biglietteria regalano sempre una mappa, come a sottolineare che perdersi nel parco è del tutto naturale. Sulla cartina plastificata, il disegno della valle ha la forma di una grossa macchia di benzina verdastra. E' allungata ai lati e un rivolo celeste, come il solco di una lacrima, scorre al centro della figura, dividendola esattamente a metà.


La mia posizione è segnata da un bollino rosso e un rassicurante "voi siete qui" a carattere cubitali che però non attutisce il colpo, oltre l'infopoint, sferrato da un vento umido e appiccicoso che sembrava attendermi da tempo per spazzare via ogni mia piccola certezza. Una sorta di battesimo forse, senza il quale è impossibile attraversare i due ponti stretti e traballanti, sospesi nel vuoto alle porte del parco, le sole vie che collegano la vita reale al sogno. L'essere intrepidi è una prerogativa della Valle: una volta varcato il confine tra noto e ignoto è davvero difficile ritrovare sé stessi.


Oltre le porte d'ingresso il parco delle Marmore è una gamma di colori assoluti: il verde della fauna selvatica, il blu del cielo, il bianco sgorgante delle acque della cascata e le tinte vivide di due arcobaleni gemelli, uno accanto all'altro, pronti a sostenersi ad ogni intemperia, figli di goccioline fluttuanti, sospese nel vuoto, e di perforanti raggi solari.

Una specola marmorea, se ne sta solitaria ad un lato della rupe e, come un fotografo, dal suo obiettivo incornicia lo spettacolo.


Il rumore della cascata che trabocca scandisce lo scorrere del tempo. Il salto è un incessante pianto che accarezza e leviga le cicatrici delle rocce. Lo riconosco, è il gemito di dolore della ninfa Nera, la figlia più bella del dio Appennino, trasformata in acqua che scorre dall'invidia della dea Giunone, furiosa dell'amore profano tra la divinità e il pastore Velino.


Il primo salto in breve è la casa per gli affranti, il luogo perfetto per disinfettare le ferite del cuore con le lacrime di un amore punito, per ricucirle con colori e vita di una natura meravigliosa.

I sentieri del parco, che si divincolano tra gli alberi e i cespugli come serpi, ripercorrono il folle gesto d'amore del pastore Velino, che si lanciò nel vuoto e rinunciò alla sua vita dopo aver perso l'amore. Sono sentieri che si snodano come arterie e trasportano passioni, chiacchiere, pensieri, sentimenti. Uomini.


Le coppie, mano nella mano, con il respiro pesante e i polpacci che bruciano quanto le pene del cuore, battono quelle stradine ripide e terrose per raggiungere il secondo salto, guidati dallo sciabordio delle acque che ricorda l'urlo disperato del pastore che a squarciacuore urla le sue pene d'amore.


Sulla strada incrocio un'insenatura e, presa dalla curiosità, mi addentro nel buio di una grotta umida e scivolosa per riemergere alla luce di un balcone dedicato agli innamorati che, come ogni relazione, affaccia sul mistero della vita. Una pioggerellina leggera mi bagna, ma non mi convince a rientrare nelle tenebre. Stringo i denti e tengo duro. Come con tutte le cose belle, per guadagnarsele il sacrificio è necessario.


Ficus, ninfee, margherite e ortiche colorano la valle incantata, e il canto degli uccelli riempie di vita il terzo salto dove la luce del sole, riverente, si fa tenue e filtra con debole dolcezza tra i rami.


Le rocce, come graffi secchi e sottili, creano scorci suggestivi sul fiume Nera. Il silenzio luttuoso della natura è rotto di tanto in tanto da una sirena che avverte del cambio del flusso dell'acqua. Perché le cascate delle Marmore, le più alte d'Europa e a flusso controllato, sono un po' come il cuore dell'uomo: cangianti, lunatiche e con alti e bassi.


Ma in fin dei conti tutto il Parco delle Marmore in fondo è una grande metafora.

I visitatori sono sempre un po' impacciati, con le cartine alla mano, smarriti, affannati, con il petto che si gonfia e si sgonfia veloce, che elemosina ossigeno. I polpacci che bruciano, le ginocchia che scricchiolano, i piedi che pungono e l'umidità che raffredda le dita delle mani e inumidisce gli occhi. Eppure son sempre felici di essere lì. Di vivere quell'incanto.


Perchè il Parco delle Marmore è una grande metafora. Tornati alle loro auto, i turisti rivedono su qualche schermo punterellato da goccioline di umidità rarefatta, i momenti più belli immortalati durante la giornata e conservano di quelli scenari mozzafiato un tenero ricordo.


Perché il Parco delle Marmore è davvero una grande metafora. Vale la pena viverlo, nonostante i sentieri ostici, gli alti e i bassi, le gocce che inumidiscono le guance come lacrime di dispiacere. Vale la pena viverlo, anche se a tratti brucia.

Perché il Parco delle Marmore è come una grande storia d'amore: anche se a volte ferisce, regala emozioni che non si cancellano più.

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